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The Social Dilemma: tutti ne parlano, vale la pena vederlo?

The Social Dilemma: tutti ne parlano, vale la pena vederlo? La nostra recensione sul documentario

Da qualche ora non si parla d’altro sui social…E già questa potrebbe essere la prima grande contraddizione o forse la prima conferma del documentario che Netflix ha lanciato a fine agosto negli Usa e che è da oggi disponibile in Italia. The Social Dilemma ci mostra quello che è oggi il pensiero di diverse persone che hanno lavorato per i colossi mondiali del web: da Google a Twitter passando per Pinterest, ovviamente Facebook, Instagram e via dicendo. L’obiettivo di questo documentario è quello di mostrare che i social possono essere utili ed essere usati eticamente ma che al momento, a chi sta al posto di potere di questi colossi mondiali, non importerebbe. Fine ultimo di tutte queste aziende sarebbe solo uno: il denaro. Tutto si muoverebbe nella logica delle fake news, della grande interazione, delle notifiche perenni sul cellulare. Ma non solo. Da quelli che sono problemi reali di una società iperconnessa si passa poi a scenari catastrofici.

THE SOCIAL DILEMMA TUTTI NE PARLANO MA VALE LA PENA VEDERLO?

The Social Dilemma merita di essere visto è questo il dubbio amletico, il dilemma insomma. Si pongono due questioni a mio avviso. Qualora il documentario venga visto da persone che non distinguono una fake news da una reale notizia, lo scopo di manipolazione mentale del quale il documentario stesso accusa ad esempio Google o Facebook, sarebbe il medesimo. Troppo facile parlare e raccontare senza un contraddittorio per cui, a una persona vergine da questo punto di vista, si fornisce una tesi che si deve dare per buona. E la tesi di complotti, manipolazioni, menzogne, poteri forti, sappiamo bene che genere di appeal possano avere, soprattutto su chi non ha una conoscenza del mezzo, tale da comprendere fino a fondo quello che si sta vedendo.

The Social Dilemma visto da chi bazzica in questo mondo, da chi usa, certo facendosi anche usare i social ( a me ad esempio capita di essere influenzata nella scelta dei vestiti da acquistare, negare che non sia così sarebbe una eresia) non scoperchia nessun vaso di Pandora, altri per certi aspetti dice delle ovvietà. Che avere le notifiche di tutte le app del nostro cellulare attive ci porterà ad avere un utilizzo medio del cellulare che supera le 4 o le 5 ore giornaliere è cosa abbastanza ovvia. Che ci siano in giro una marea di informazioni sulle nostre abitudini lo è altrettanto, per chi non pensa che i cookies siano solo dei biscotti ancora di più. Che a quasi nessuno interessi il bene dell’utente ma solo quanto tempo passi su un social e la sua capacità di lasciarsi influenzare altrettanto. Da qui a pensare che ci stiano manipolando per un futuro migliore, ce ne passa.

Si tratta di tecnologia persuasiva, studiata dai più grandi guru che hanno lavorato nei colossi che vengono citati. Ed ecco che si parla quindi della tecnica, ad esempio, della slot machine usata da Facebook. Non sarebbe un caso che per aggiornare la bacheca del proprio social, si debba scrollare, come si fa con la slot machine. Si spera sempre di vincere, nel caso del gioco, nel caso dei social, di avere contenuti nuovi, qualcosa di interessante da scoprire, qualcosa di cui avere bisogno.

Inoltre tra le accuse fatte quella che tutti noi saremmo come degli zombie, che vengono manipolati e usati senza un fine ultimo degno della cosa, come ad esempio una cura per il cancro, ma solo per migliorare sempre di più il prodotto.

Ma se è vero che le informazioni raccolte sul nostro essere, sono migliaia, perchè nessuno ferma, ad esempio, chi sta facendo delle ricerche su veleni, armi, per evitare un suicidio, un omicidio, un attentato? In realtà tutto questo lo si fa ma su grandi modelli, non sul piccolo cittadino. La raccolta dati, la manipolazione, il farci vedere quello che mente vuole vedere è davvero ovvio come è ovvio che chi lo stava facendo in passato o lo sta facendo ora, sa bene che cosa significhi.

The Social dilemma fa riflettere su quanto un social sia uno strumento o non lo sia. E’ chiaro che tutto dipende da come lo si usi. E il paragone tra le droghe e i software è certamente calzante perchè è proprio così: sappiamo che ci fanno male e ne facciamo uso. Ma dipende tutto da noi. Ed è vero che molti di questi social li usiamo anche per lavorare oltre che per informarci o per divertirci. Ma tutto dipende e continua a dipendere da noi. Perchè le notifiche sui cellulari si possono staccare, perchè lo smartphone può essere lasciato a casa quando usciamo a fare una passeggiata. Ed è vero che ci sono delle dipendenze, che servono delle cure ma proprio come la droga, la forza di volontà è quello che serve. Sopratutto per chi non lavora, ricevendo mail che forse sono una delle poche cose più necessarie, avere sempre lo smartphone in mano è sinonimo di dipendenza. Ma c’era bisogno di questo documentario per capirlo? E’ parecchio ovvio.

E si è visto come questa grande dipendenza da social, forse anche in modo giustificato, sia esplosa nei mesi del lockdown in tutto il mondo. Ma pensiamo a un esempio banale: quando i cellulari sono arrivati in Italia, erano i nostri genitori a imporci che sul tavolo, non si dovevano mettere, che a pranzo e a cena si parlava, di dialogava. Oggi sono i nostri genitori a portare sul tavolo accanto dalle posate il loro smartphone e non perchè ne abbiano bisogno ma semplicemente perchè è diventato una sorta di prolungamento del proprio braccio. E’ una abitudine o se volete, una droga. Ed è lo specchio di una società iperconnessa che pensa alla socialità in modo diverso ma che in realtà è caratterizzata dalla solitudine. Sempre più spesso al ristorante si vedono coppie con il cellulare in mano. Ma a che cosa servirà se non per fare una foto al piatto che si sta mangiando? E’ una dipendenza che ci deve far riflettere anche sul rapporto che abbiamo con gli altri, con moglie, marito, figli. Socialità vs solitudine perchè in realtà se anche pensiamo di essere sempre insieme ad altri, siamo soli con il nostro cellulare.

E’ forse colpa di Google o di Facebook se genitori acquistano un cellulare a un bambino di 8 anni? E’ colpa di chi ha inventato i social se dei genitori permettono a un bambino di aprire un profilo pur sapendo che è illegale? La colpa di chi gestisce questi social sta nel dare troppe scappatoie per superare i controlli ma è ovvio che gli algoritmi non siano studiati per l’infanzia. E non è certo una responsabilità di Snapchat se delle ragazze vanno dal chirurgo con una immagine chiedendo di essere in quel modo. Prima si portava al parrucchiere un ritaglio di giornale per emulare un personaggio famoso, un conduttore, una attrice.

Non voglio addentrarmi nel capitolo dedicato all’aumento dei suicidi che sarebbero causati dall’utilizzo dai social, alla depressione e alle malattie nella generazione definita Z. Ma forse bisognerebbe tenere in considerazione anche l’era in cui questi ragazzi sono nati, priva di prospettive per il futuro, orfana di valori fondamentali, una società dedita all’apparenza e poco alla sostanza dove i bambini e gli adolescenti si trovano spesso da soli a causa della famiglia completamente assente.

In The Social dilemma si parla di una sorta di “ciuccio digitale” quello che i nostri figli tenderebbero a usare in tutti i momenti della loro giornata. Ma un adolescente ha bisogno di tutto questo perchè va di moda o perchè non ha altri strumenti? Il fatto che durante il lockdown in Italia non si sia letto nulla ma siano cresciute solo le interazioni social e la visione di serie tv dovrebbe proprio far riflettere sulle nostre abitudini, completamente errate si. E sarà la manipolazione, sarà la dipendenza, i social, gli smartphone che ci hanno portato tutto questo a una portata di click. Ma siamo sempre noi a poter decidere di smettere.

Il documentario Netflix a sua volta, non ci manipola allo stesso modo mostrandoci la finzione di chi dovrebbe essere dietro gli algoritmi nella scelta di cosa farci vedere, di cosa far comparire sul nostro cellulare? E’ una mezza verità ma anche una mezza finzione che potrebbe influenzare chi non immagina neppure cosa ci sia dietro i numeri di un algoritmo.

Tornando quindi alla domanda iniziale. Vale la pena guardare The Social dilemma? Come ogni libro che merita di essere letto la risposta è certamente si, perchè solo dopo la visione di un qualcosa, o dopo la lettura di un libro, si può fare una critica di quello che viene raccontato. Si deve però sapere che il documentario va a senso unico: la tesi sposata non ha nessun contraddittorio per cui alla fine chi è partito pensandola in questo modo, ne sarà ancora più convinto; chi aveva dei dubbi si lascerà convincere e forse anche manipolare, qui la grande contraddizione, e chi invece conosce il mezzo avrà qualche spunto di riflessione ma nulla di così trascendentale per cambiare in modo più che repentino il suo modo di fare.

Nessuno ci obbliga a usare un social, dipende tutto da noi. Anche la macchina è uno strumento pericoloso se si va a 250 all’ora senza rispettare i limiti di velocità. Sto dicendo probabilmente delle cose ovvie, come ovvie è trovato tante delle cose raccontate anche nel documentario, in tutta sincerità.

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