Libri da leggere: Il libro del cortegiano – Baldassar Castiglione
Libri da leggere – Recensioni Il libro del cortegiano La stampa. Il Cinquecento è il secolo della definitiva consacrazione della stampa, strumento fondamentale per la standardizzazione degli usi linguistici nei testi letterari. Nel 1501 Aldo Manuzio stampò due classici, Virgilio e Orazio, scegliendo un formato editoriale di piccole dimensioni, “tascabile”, che avrebbe reso famose le […]
Libri da leggere – Recensioni
Il libro del cortegiano
La stampa. Il Cinquecento è il secolo della definitiva consacrazione della stampa, strumento fondamentale per la standardizzazione degli usi linguistici nei testi letterari. Nel 1501 Aldo Manuzio stampò due classici, Virgilio e Orazio, scegliendo un formato editoriale di piccole dimensioni, “tascabile”, che avrebbe reso famose le sue edizioni, celebri anche per il carattere tipografico corsivo detto “aldino”. In esse compaiono una serie di indicazioni paragrafematiche (interpunzione, separazione delle parole, accenti e apostrofi) dettata dall’esigenza di normalizzare la veste linguistica del testo stampato.
Italiano e latino. Nel Cinquecento il volgare raggiunse nel settore umanistico-letterario un indiscusso primato fra i dotti. Assistiamo al fiorire di autori tra i più importanti della nostra tradizione, come Ariosto, Tasso, Aretino, Machiavelli, Guicciardini. Inizia in questo secolo il processo di erosione del latino che, però, si concluderà solo nel ‘700. Il suo uso manteneva ancora prestigio nel campo della pubblica amministrazione e delle scienze.
Castiglione e la ‘questione della lingua’ del ‘500. Nella prima metà del Cinquecento, assistiamo ad un fondamentale dibattito sulla norma linguistica del volgare letterario. Nasce così la “questione della lingua”. Le due principali correnti di questo periodo furono: A) corrente ‘cortigiana’ o ‘italianista’; b) corrente toscano fiorentinista.
La ‘corrente cortigiana o italianista’ è rappresentata dagli intellettuali che sostengono un’ipotetica lingua cortigiana. I testi a cui si potrebbe dare questo appellativo non presentano tratti linguistici caratterizzanti e omogenei, e sono nettamente influenzati dall’ibridismo latino-volgare che ha caratterizzato la produzione colta del Quattrocento. Castiglione, assieme a Trissino e Calmeta, fa parte di questa corrente. Secondo la teoria del Calmeta, il fiorentino da apprendere era quello trecentesco di Dante e Petrarca, da affinare parallelamente attraverso l’uso della corte di Roma. Calmeta sostiene che a Roma la circolazione di genti diverse favoriva il diffondersi di una lingua di conversazione superregionale di qualità alta, di base toscana ma disponibile ad apporti diversi.
Analogie con la teoria “cortigiana” presenta la tesi del letterato vicentino Giovan Giorgio Trissino (1478 – 1550 ). Nel 1529 egli pubblicò il Castellano, in cui sosteneva che la lingua poetica di Petrarca era composta di vocaboli provenienti da ogni parte d’Italia, dunque non era definibile come fiorentina, bensì “italiana”.
Alla corrente “toscano-fiorentinista appartiene Bembo, secondo cui la lingua non si acquisisce dal popolo, ma dalla frequentazione di modelli scritti, quella cioè dei grandi trecentisti. La grammatica di Bembo permetteva di portare a compimento il processo normalizzazione del volgare.
Genere testuale e punto di vista narrativo de Il Libro del Cortegiano. Nato a Casatico (Mantova) nel 1478, Baldassare Castiglione fu alla corte di Urbino, al servizio di Guidobaldo di Montefeltro e poi di Francesco Maria della Rovere, periodo determinante per la successiva composizione del Cortegiano.
Pubblicata a Venezia nel 1528, la sua opera principale fa parte di quella trattatistica volta a delineare il percorso per diventare un perfetto uomo di corte. Il Libro del Cortegiano è steso in forma dialogica: a parlare sono eminenti figure della corte di Urbino.
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