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Medio Oriente: in Siria non si placano le proteste

Non si placano le proteste in Siria. Nonostante il Governo annunci la fine della legge sull’emergenza in vigore dal lontano 1973 e che annunci nuove leggi, con le dimissioni del governo per il 29 marzo ed entro il primo aprile sarà messa in vigore anche la tanto annunciata legge sulla stampa e sui partiti, la […]

Non si placano le proteste in Siria. Nonostante il Governo annunci la fine della legge sull’emergenza in vigore dal lontano 1973 e che annunci nuove leggi, con le dimissioni del governo per il 29 marzo ed entro il primo aprile sarà messa in vigore anche la tanto annunciata legge sulla stampa e sui partiti, la gente continua a manifestare e soprattutto a morire.

Ormai sono dodici giorni che le proteste siriane si fanno sentire non solo all’interno del paese, ma suscitano la preoccupazione della comunità internazionale, perché, nonostante le continue assicurazioni di cambiamenti del governo a Latakia, continua ad essere spiegato l’esercito per fronteggiare i manifestanti, mentre ormai ci sono veri e propri cortei ai funerali delle vittime del Daara, la città da cui proviene la famiglia presidenziale.

Intanto “fonti ufficiali” annunciano che tutte le leggi promesse verranno emanate all’indomani dell’approvazione della “legge anti-terrorismo”. Intanto i dissidenti e gli attivisti non si fermano e utilizzando internet, organizzano altre manifestazioni per i prossimi giorni, per ribadire il loro no al potere di Bashar al-Assad che governa dal 1973 in modo assoluto e al partito “arabo socialista” che lo appoggia pienamente.

Le manifestazioni sono previste a Damasco, presso la centrale Grande Moschea degli Omayyadi, da dove sono iniziatele prime manifestazioni di dissenso. I cittadini sono invitati dalle forze governative a non partecipare alle manifestazioni. Il Ministro degli Interni ha anche inviato un SMS a tutti i cittadini definendo i raduni “menzogneri” e “tendenziosi”.

Secondo le organizzazioni umanitarie, dall’inizio della protesta si contano 120 morti, per lo più a Daraa, ma il governo le attribuisce a “bande armate” e comincia a diffondere voci su uccisioni di poliziotti utilizzando i media ufficiali. Si parla anche di un giornalista americano arrestato con l’accusa di avere legami con Israele e di essere coinvolto negli scontri.

“Il popolo vuole la caduta del regime!” è questo lo slogan che si sente echeggiare ormai da giorni e che sembra non placare gli animi dei manifestanti, nonostante siano stati rimessi in libertà 260 prigionieri politici e 16 dissidenti, tra cui Diana Jawabira, finiti in carcere il 16 marzo scorso per il sit-in nei pressi del ministero degli interni.

Il fuoco della rivolta sta dilagando in Medio oriente, devastando la cenere che lo aveva tenuto nascosto per tutto questo tempo. Un vento di cambiamento sta spazzando i vecchi regimi, lasciando aperta un’incognita sugli sviluppi delle proteste.

Teresa Corrado

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