La Libia immaginata, la potenza di Twitter
Sarebbe di oltre dieci mila vittime e più di 50mila feriti il bilancio della sanguinosa rivolta in Libia, fornito da un esponente arabo del Tribunale Penale Internazionale, il quale ha aggiunto, ai microfoni dell’emittente televisiva degli Emirati Arabi Uniti Al Arabiya, che la situazione potrebbe anche peggiorare fino ad arrivare persino all’utilizzo delle armi chimiche […]
Sarebbe di oltre dieci mila vittime e più di 50mila feriti il bilancio della sanguinosa rivolta in Libia, fornito da un esponente arabo del Tribunale Penale Internazionale, il quale ha aggiunto, ai microfoni dell’emittente televisiva degli Emirati Arabi Uniti Al Arabiya, che la situazione potrebbe anche peggiorare fino ad arrivare persino all’utilizzo delle armi chimiche da parte di Gheddafi per calmare la rivolta, armi chimiche che il dittatore non ha mai distrutto.
E’ interessante analizzare l’efficacia degli strumenti di social networking come Twitter in queste situazioni, che permettono di seguire la vicenda araba minuto per minuto, vedendola con gli occhi di chi la racconta. Ad esempio, il giornalista del New York Times, Nicholas Kristof, aggiorna gli utenti proprio attraverso i Tweet: afferma per esempio di esser venuto a conoscenza da testimoni che i ribelli hanno piantato la loro bandiera sulla località a circa 16km dal centro di Tripoli. Ancora tramite Twitter si possono raccogliere le testimonianze di chi vive in questo momento l’inferno in terra: c’è chi prega per le vittime, chi fornisce aggiornamenti sulla situazione araba in tempo reale e anche chi, fuori dal coro, racconta che la situazione non è poi così drastica, come un medico libico in italia, che secondo quanto pubblicato da Adnkronos afferma: “Da Tripoli, al telefono, i familiari mi parlano di una citta’ calma. Mentre dai media arrivano notizie di un numero di morti, seppure in altre aree del Paese, enorme: da vera guerra civile. In entrambi i casi mi sembrano esagerazioni. Siamo davvero disorientati“.
Dietro queste poche parole si cela anche il grande potere di manipolazione delle masse che hanno tutt’ora i media in quei paesi, il governo che censura le notizie e cerca di tagliare le comunicazioni. Inoltre Gheddafi ha invitato tutti i giornalisti ad andare a vedere con i propri occhi la situazione in Libia, sostenendo che non ci sono mai stati bombardamenti sui civili e che “i caccia libici hanno bombardato solo depositi di armi”. Insomma, chi può raccontare con precisione cosa sta accadendo in questi giorni? Solo chi sta nella rivolta. Solo chi vive questi momenti di disperazione può informare il resto del mondo su quello che sta accadendo realmente e lo fa, quando è possibile, tramite Twitter, e in soli 140 caratteri, nonostante il blocco di internet. Infatti il social network in questione oggi è rimasto l’unico canale di informazione del Paese in rivolta a sopravvivere alla censura del digitale. Ma la potenza di internet va oltre ogni censura, divieto o restrinzione: i libici possono continuare a comunicare grazie all’appoggio di aziende e provider, così come nel corso della rivolta in Egitto era stato lo stesso Google a mettere a disposizione dei numeri per effettuare collegamenti e descrivere quello che stava accadendo.
Concludendo, possiamo affermare con sicurezza che la Rete è l’unico medium simbolo di libertà espressiva che non si ferma davanti a censure, divieti, blocchi, restrinzioni. La comunicazione su internet non può essere controllata o tantomeno fermata.
Sara Moretti