Hotspot improvvisato senza letti, senza riscaldamento: come vivono i sopravvissuti a Cutro

Non è di facile gestione la situazione in Calabria: la denuncia sulle condizioni in cui vivono i sopravvissuti è un appello per fare di più dopo il naufragio di Cutro

naufragio cutro

Poche foto che raccontano però quello che sta accadendo in provincia di Crotone. Sono le foto che Alessandra Sciurba ha postato sui social. Una sorta di denuncia che però è anche un appello che serve per chiedere aiuto, per chiedere di fare qualcosa per i sopravvissuti del naufragio di Steccato di Cutro che si ritrovano a vivere in un hotspot improvvisato, come racconta la docente di Deontologia, sociologia e critica del diritto all’Università di Palermo, che da venerdì si trova a Crotone come volontaria con una parte della clinica legale Migrazioni e diritti dell’Università (che coordina) e con altre associazioni.

Mostra le foto che ha scattato in prima persona e parla di “un hotspot improvvisato con la metà dei letti che servirebbero, gli altri dormono sulle panche“. Si vedono nelle immagini dei materassi messi a terra, senza coperte, in una situazione che è ben lontana dall’essere dignitosa.

“Donne e minori in mezzo agli uomini adulti. Il bagno in comune. Le pareti scrostate, nessun riscaldamento. Niente lenzuola. Niente scarpe chiuse“. È la denuncia di Alessandra Sciurba che sui social, mostra appunto, quello che ha visto con i suoi occhi e quello che sta succedendo in provincia di Crotone. La gente del posto, i volontari, sono tutti in prima linea ma forse, serve l’intervento di chi può dare mezzi e materiali dopo la tragedia che è accaduta nelle acque del nostro mare.

Le parole di Alessandra Sciurba sui social

Non sapevo se avesse senso venire, se potessimo essere utili. E invece è stato importantissimo farlo. Qui serve tutto. Ben oltre la commozione e le visite brevi delle istituzioni. Abbiamo aiutato noi, per due giorni, le brave assistenti sociali del Comune di Crotone a compilare i moduli per il rimpatrio delle salme. Un tavolino a poca distanza dalle bare per chiedere a papà che hanno perso la moglie e i figli, a figlie che hanno perso la madre, a fratelli che hanno perso una sorella e i suoi bambini di pochi anni, dove desiderassero che quei corpi venissero infine portati”, ha scritto Sciurba su Facebook.  

“Moltissimi chiedono che le salme tornino in Afghanistan, nonostante siano fuggiti proprio dal regime dei talebani, e bisogna trovare il modo, anche se è difficile e può essere pericoloso proprio per queste famiglie, di dare dignità almeno a questo desiderio. Ma non ci sono notizie sui fondi destinati al trasporto di questi corpi. Non ci sono informazioni certe su nulla. Le famiglie arrivate da ogni dove sono confuse, frustrate, disperate – ha continuato la docente -. I ragazzi e le ragazze dell’associazione Sabir di Crotone fanno tutto quello che possono. Così come i sommozzatori e tutte le squadre che ancora continuano nella ricerca dei corpi, certamente più di 30, che sono ancora dispersi”. 

Purtroppo però, come si può notare anche sul profilo della docente, a fronte di tanti commenti di chi prova empatia ed esprime solidarietà, emerge anche tanto odio nei confronti di persone che, se avessero potuto, di certo, non avrebbero lasciato la loro terra per rischiare la vita.

A corredo delle foto, questo commento da parte della docente: “Come in mare ha prevalso la logica di polizia e difesa dei confini su quella del soccorso delle persone in pericolo, in terra prevale la logica del confinamento e della punizione di chi emigra sul rispetto dell’umanità. Ecco dove sono reclusi (illegalmente) i sopravvissuti al naufragio di Crotone. Donne uomini e bambini. Un hotspot improvvisato, una piccola Lampedusa anche per loro”.

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