Attualità Italiana

Alberto Stasi scrive una lettera dal carcere per suo padre

Dal carcere di Bollate una lunga lettera di Alberto Stasi indirizzata a suo padre: una lettera di scuse ma anche una lettera con un appello. La missiva di Stasi in esclusiva su Giallo

Da due mesi Alberto Stasi è in carcere: è stato condannato per l’omicidio della sua fidanzata, Chiara Poggi. Il giovane continua a dichiararsi innocente ma la giustizia italiana ha fatto il suo corso e Alberto dovrà pagare con la reclusione per i suoi errori. Dal carcere in cui si trova, a Bollate, Stasi decide di scrivere una lettera a suo padre, una lunga lettera con la quale prova a esprimere i sentimenti che prova, racconta quello che avrebbe voluto dire a suo padre, si preoccupa di tante cose ma vuole provare a dirgli quanto gli vuole bene. Il papà di Alberto Stasi è morto, due anni fa. E’ venuto a mancare nel giorno di Natale, nel 2013. Da quel momento la vita della famiglia Stati è cambiata profondamente e Alberto oggi si chiede: se tutto quello che è successo nella sua vita non fosse successo, suo padre sarebbe ancora vivo? E nella lettera anche un appello: chi sa cosa è successo quel giorno, il giorno in cui Chiara è stata uccisa, deve parlare. 

Vi riportiamo una parte della lettera che Alberto Stasi ha deciso di scrivere al suo papà ( troverete il testo integrale nel numero di Giallo in edicola questa settimana, una esclusiva di Giallo)

lettera stasiCiao papà,
non so bene come iniziare questa lettera perché, tu lo sai, faccio sempre molto fatica
ad esprimere quello che provo, ma oggi più che mai sento la tua mancanza; oggi che
sarebbe il giorno del tuo compleanno sento il bisogno di far sapere a tutti quello che
provo, che sento, quello che ho nel cuore e quello che troppe poche volte ti ho detto,
quando, invece, avrei avuto la possibilità di farlo.
Oggi non posso dirtelo guardandoti negli occhi ed abbracciandoti forte, ma sono
sicuro che tu possa comunque sentire tutto quello che voglio dire e che voglio tutti
sappiano, perché tu, papà, meriti il ricordo migliore che un figlio possa dare.
Ci sono dei momenti in cui la vita ti chiama a riflettere, te lo impone, ti costringe a
guardarti dentro, a chiederti quali sono le cose davvero importanti e a domandarti
cosa hai fatto di buono tu; cosa hai lasciato e cosa ancora puoi fare; e così la mente
vaga e, nella oggettiva difficoltà di comunicazione che acuisce il bisogno stesso di
comunicare secondo un meccanismo che fatico ancora a comprendere.
La penna diventa lo strumento migliore che una persona possa utilizzare.
Tu, papà, per me sei stato il punto di riferimento, la forza, la volontà, la costanza, il
supporto; nella tua fermezza, nelle tue decisioni irremovibili, nei tuoi occhi profondi
di uomo, io ho sempre trovato il coraggio, come in un rifugio protettivo che sentivo
mai nessuno avrebbe potuto davvero violare, perché c’eri tu a farmi da scudo contro
un mondo difficile, a lottare per una vita spezzata troppo presto e una giovinezza
violentata. E, devo confessarti, ho vacillato quando te ne sei andato: l’uomo che stavo
ancora diventando, per qualche momento, si è ribellato, perché la vita si era fatta
improvvisamente ancora più dura per me e mi stava imponendo di affrontare senza
di te, senza la tua presenza sempre rassicurante, la tragica morte della persona
che amavo, le pesanti accuse che mi si muovevano, i pubblici attacchi, l’umiliazione di subire un processo gravissimo, una quotidianità anomala, una vita dal futuro incerto, un lavoro che, nonostante i tuoi sacrifici per farmi studiare, non poteva decollare; la vita quindi mi imponeva anche di fare i conti con la tua improvvisa scomparsa, con una morte inaccettabile che mi lasciava sfinito e impotente, ma con la consapevolezza di dover invece apparire forte e coraggioso, anche per la mamma. Ho preteso da me stesso di farcela, perché sapevo che sarebbe stato quello che tu avresti voluto, non mi avresti mai perdonato la resa, le lacrime, la testa abbassata. E così ho cercato di rialzarla, ho provato a farcela lo stesso, ho lottato per la verità e la mia libertà come tu, fino ad allora,
avevi lottato per me. Quella stessa lotta che dentro ti ha logorato talmente tanto da portarti via, nel silenzio del tuo dolore e nel mutismo di quella amarezza che non volevi mostrare. A volte penso che se tutto questo non fosse accaduto, se non ci fosse stata questa grande ingiustizia, in questo momento tu saresti ancora qui con me e con la mamma…



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