Università, diminuiti iscritti e laureati

Anche nel 2010 continua il trend negativo dell’università italiana. Tutte le facoltà, soprattutto quelle umanistiche, registrano un forte calo delle iscrizioni. Il nuovo anno accademico ha registrato un meno 5% di iscrizioni e se il dato lo si paragona al 2007 è ancora più pesante, ben -9%. La situazione è meno drammatica al nord e […]

Anche nel 2010 continua il trend negativo dell’università italiana. Tutte le facoltà, soprattutto quelle umanistiche, registrano un forte calo delle iscrizioni. Il nuovo anno accademico ha registrato un meno 5% di iscrizioni e se il dato lo si paragona al 2007 è ancora più pesante, ben -9%. La situazione è meno drammatica al nord e nelle facoltà scientifiche, ma anche qui non c’è da essere allegri.

 I dati che vanno a dipingere questo quadro sconfortante provengono dai rapporti del Cun (Consiglio universitario nazionale) e dal consorzio Almalaurea. I dossier riportano come negli ultimi quattro anni ventiseimila studenti in meno hanno scelto di iscriversi ad un corso di laurea, nonostante il numero dei diplomati sia aumentato dello 0,9%. A subire il calo di iscrizioni sono soprattutto gli atenei più piccoli (quelli con meno di 10000 studenti ndr) e quelli di media grandezza, tengono invece i mega atenei. Per quanto riguarda le facoltà, sono sempre meno gli studenti che scelgono quelle umanistiche, rimangono stabili invece quelle scientifiche e sociali.

Le ragioni di un così brusco calo sono molte e non vanno sottovalutate. Secondo Luigi Biggieri, presidente del Comitato Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario, la causa prima è che: “far studiare i figli costa e oggi non tutti possono permetterselo”. Mentre per il presidente del Cun Andrea Lenzi non è solo un problema di crisi economica, “Manca una efficace politica di orientamento nelle scuole superiori che sventi il rischio di avere una massa di giovani di serie B rispetto agli altri Paesi”. Purtroppo gli investimenti sull’istruzione non sono di aiuto, tra i paesi membri dell’Oecd(l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), siamo davanti solo a Slovacchia ed Ungheria.

Nonostante tutto però la laurea fa ancora la differenza. Certo è vero che i neolaureati non vanno a ruba nel mercato del lavoro, ma rispetto ai diplomati presentano un tasso di occupazione superiore di ben 11 punti percentuali e anche la retribuzione è maggiore. Non bisogna comunque stare troppo allegri, perché la disoccupazione, tra coloro che hanno terminato il ciclo di studi universitario, si attesta sempre intorno al 16%. Inoltre c’è un altro dato che desta preoccupazione, “il lavoro nero” tra i laureati. Sono il 7% coloro che ad un anno dal conseguimento del titolo lavorano senza un contratto regolare. Un ultimo elemento è rimasto da considerare, la tanto chiacchierata, “fuga di cervelli”. I laureati con cittadinanza italiana, che lavorano all’estero, ad un anno dal conseguimento del titolo, sono il 4,5%(nel 2009 erano il 2,8%).

Fabio Sciulli

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