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Fukushima, le conseguenze a tre anni dal disastro

L'11 marzo del 2011 un terremoto devastante colpiva il Giappone causando diverse esplosioni negli impianti nucleari di Fukushima. Oggi, a tre anni dal drammatico evento, l'incubo radiazioni non smette di spaventare

Sono passati esattamente tre anni dalla serie di quattro distinti incidenti occorsi alla centrale nucleare di Fukushima in seguito al terremoto/maremoto avvenuto nella regione del T?hoku l’11 marzo 2011. Oggi, si registra un notevole incremento di tumori alla tiroide e non solo…

L’evento scatenante – Il terremoto si verificò l’11 marzo 2011 al largo della costa della regione di T?hoku, nel Giappone settentrionale, alle ore 14:46 locali alla profondità di 30 chilometri. Il sisma, di magnitudo 9,0 con epicentro in mare e con successivo tsunami, è a tutt’oggi il più potente mai misurato in Giappone ed il settimo a livello mondiale. La grande energia del sisma, secondo alcuni calcoli, avrebbe causato lo spostamento dell’asse terrestre di circa 17 centimetri e, addirittura, avrebbe spostato le coste del paese di 4 metri verso Est causando diverse mutazioni del fondale marino. A un mese dall’evento, il numero delle vittime da parte della National Police Agency giapponese fu di 13.228 morti e 14.529 dispersi, con stime dei dispersi effettivi vicine ai 17.000 per un totale di oltre 30.000 vittime. Ad oggi, il numero ufficiale è di 15.703 morti accertati, 5.314 feriti e 4.647 dispersi. Due treni passeggeri sono stati travolti dalle onde del maremoto, uno dei quali è stato ritrovato solo il 13 marzo tra Iwate e Miyagi assieme ai 70 passeggeri, tutti salvi, che si erano rifugiati in una scuola sfuggendo alla furia del mare. Altri superstiti trascinati nelle acque dal riflusso dello tsunami sono stati recuperati fino a 15 km dalla costa di Fukushima.

Il disastro nucleare – Il sisma ha provocato lo spegnimento automatico di undici centrali nucleari da parte dei sistemi di emergenza. Le centrali che hanno subito i maggiori danni sono state quelle di Fukushima Dai-ni (Fukushima II) e, in particolare, Fukushima Dai-ichi (Fukushima I), situate a circa 11 km l’una dall’altra nella prefettura di Fukushima. I reattori attivi a Fukushima I erano i n. 1, 2 e 3, mentre altri tre erano stati spenti per manutenzione. Questi si sono disattivati automaticamente dopo la scossa, ma i sistemi di raffreddamento sono comunque risultati danneggiati, causando un surriscaldamento incontrollato. Il livello dell’acqua negli impianti è sceso sotto i livelli minimi di guardia in tutti e due i siti, e pertanto è stata dichiarata l’emergenza nucleare. Alle 15:40 (6:40 UTC) dell’11 marzo il reattore n. 1 di Fukushima I ha subito la fusione delle barre di combustibile e un’esplosione visibile anche dall’esterno, che ha provocato il crollo di parte delle strutture esterne della centrale. In un’ora sarebbero state rilasciate più radiazioni che nell’arco di un anno. Il 12 marzo si è verificato lo stesso problema al reattore n. 3 della stessa centrale. Per contenere il surriscaldamento è stato autorizzato il rilascio controllato di vapore e si è proceduto all’irrorazione dei reattori con acqua di mare e acido borico (capace di assorbire neutroni e rallentare la reazione del combustibile). I gas dispersi dalle esplosioni e dal rilascio di vapore hanno diffuso nell’atmosfera ioni radioattivi di iodio 131. La successiva evacuazione ha interessato 110.000 persone nel raggio di 30 chilometri dall’impianto di Fukushima I. Il 14 marzo si è interrotto l’impianto di raffreddamento del reattore n. 2, subito irrorato con acqua marina e boro. Nella notte del 15 marzo è avvenuta un’altra esplosione, con successivo incendio, al reattore n. 4: anche se spento, il guasto all’impianto di raffreddamento ha impedito di contenere il surriscaldamento dovuto al decadimento naturale del combustibile nucleare, e questo ha portato alla vaporizzazione dell’acqua della piscina di soppressione in cui è immerso il reattore e alla successiva reazione tra vapore bollente e lo zirconio che riveste le barre di combustibile; l’acqua attorno al reattore si è prosciugata portando il surriscaldamento fuori controllo. Gli incendi e la radioattività hanno reso problematico l’accesso negli impianti dei tecnici che cercavano di riprendere il controllo dei reattori. Tuttavia, i contenitori primari dei reattori interessati dagli incidenti (n. 1, 2, 3 e 4) hanno resistito alle esplosioni e al surriscaldamento. Gli avvenimenti sono stati classificati dall’Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone al grado 7 della scala INES, il massimo, a pari livello con il Disastro di ?ernobyl.

Contaminazione – Le autorità giapponesi hanno subito cercato di verificare una eventuale contaminazione radioattiva sui 170.000 residenti evacuati dalle zone entro i 20 km dagli impianti di Fukushima Dai-ichi e Fukushima Dai-ni. Al 16 marzo 2011, nove persone risultarono contaminate dalle prime analisi. L’agenzia per la sicurezza nucleare ed industriale giapponese, parte del ministero dell’economia, commercio ed industria, ha affermato che delle circa 100 persone evacuate da Futaba, nove risultano esposte a contaminazione. Per prevenire possibili deleteri effetti dagli isotopi di iodio radioattivo, le autorità hanno poi predisposto la distribuzione di pillole allo ioduro di potassio per saturare la tiroide e prevenire gli effetti di quello radioattivo. Questo permette al corpo di non assimilare lo iodio-131 se si è venuti a contatto con esso. A due anni dal disastro, il 27 febbraio 2013 l’Organizzazione mondiale della Sanità ha pubblicato un rapporto sui rischi per la salute della popolazione rappresentati dalle conseguenze dell’incidente, che ridimensiona di molto l’impatto sulla popolazione. Tuttavia, oggi, la situazione non sembra essere così rassicurante.

A tre anni dall’incidente – Nelle zone limitrofe, come nella città di Koriyama, una vita quasi normale è possibile. In particolare i bambini, più vulnerabili alle radiazioni, vivono un pericolo onnipresente ed invisibile, che è più forte fra alberi e piante, e paradossalmente meno acuto in mezzo ad auto e cemento. “Da tre anni non giocano nei prati, nei parchi o nei boschi: la terra – racconta l’inviata de La Stampa Ilaria Maria Sala – è pericolosa, le foglie, anche, le radiazioni vi si accumulano più che non sulle superfici artificiali. Le mamme si premurano che escano con la mascherina e che siano ben coperti di plastica quando piove. Periodicamente, sul Web, sono pubblicate allarmanti mappe che mostrano una lingua infuocata – rossa, arancione, gialla, verde – che si spinge nel mare, e ci dicono essere ‘l’acqua radioattiva di Fukushima’. Gli esperti – continua la Sala – cercano di riportare alla razionalità, spiegano che le mappe colorate sono fallaci, che la pericolosità di Fukushima non ha bisogno di essere esagerata, che il mare è grande e l’acqua si disperde nella sua massa sterminata. Eppure gli esperti dicono che per sviluppare un cancro alla tiroide ci vogliono diversi anni, ma i bambini di Fukushima ne sono affetti in numero ben più alto della media nazionale, che è di 2 casi su un milione fra i bambini di 10-14 anni. Nella prefettura – si legge nel resoconto della giornalista – fra settembre e febbraio i casi confermati fra i minori di 18 anni sono passati da 59 a 75 ed è allarme. Finora sono stati controllati 254mila minori su 375mila. Ma gli stessi esperti dicono che potrebbe essere dovuto al fatto che qui i bambini sono costantemente testati, e forse, se l’intera popolazione giapponese fosse esaminata così di frequente, si avrebbero gli stessi risultati”.



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