Spese pazze: prima condanna per “mancata verifica”, il capogruppo paga per tutti
Una sentenza che potrebbe fare giurisprudenza. In Friuli, un ex capogruppo Pd è stato condannato a risarcire la Regione per la mancata verifica delle spese presentate per il rimborso e dovrà quindi pagare anche le spese di tutti i suoi colleghi di partito
Gianfranco Moretton (nella foto), ex capogruppo del Pd in Friuli, dovrà risarcire 60.000 euro. I giudici della Corte dei Conti lo hanno condannato in primo grado e nella sentenza, per la prima volta, è stato redatto un elenco di ciò che un consigliere non dovrebbe mai mettere a rimborso, quando si parla di spese di rappresentanza.
Oltre all’elenco, di cui in seguito faremo nuovamente cenno, il nodo più importante di questa sentenza riguarda senza dubbio il tipo di condanna inflitta a Moretton. Già, perché secondo i giudici, un capogruppo ha l’obbligo di verificare le spese presentate per essere rimborsate e quindi deve pagare anche le spese di tutti i suoi colleghi di partito. La motivazione sta in poche righe: perché non ha “correttamente gestito le pubbliche risorse a lui assegnate quale presidente del gruppo […] avendo omesso di riportare per ciascuna di esse il contesto e l’occasione pubblica nelle quale sono state sostenute”. La richiesta iniziale del procuratore Maurizio Zappatori era stata di 100.000 euro, ma gli ex colleghi di Moretton hanno deciso di restituire volontariamente alla Regione parte dei soldi portando la quota della sanzione a 60.000 euro.
È la prima condanna di questo tipo nel nostro Paese dopo lo scandalo rimborsi e la sentenza dei giudici Alfredo Lener, Paolo Simeon e Alberto Rigoni potrebbe seriamente fare giurisprudenza. Nella sentenza si legge inoltre, finalmente, una chiara definizione di “rimborsi pubblici”: “Si tratta – scrivono i giudici – di esborsi finalizzati a finanziare iniziative di visibilità e di comunicazione esterna del gruppo mediante la copertura delle spese di ospitalità o di convivialità per personalità o autorità esterne, onde consentire la massima divulgazione dell’attività istituzionale che svolge il gruppo all’interno del consiglio regionale con lo scopo di far percepire all’elettorato l’impegno della coalizione. Esse devono rispondere a criteri di decoro, sobrietà ed economicità”.
Invece, il nostro Gianfranco Moretton “ha cercato di fornire una giustificazione delle spese che gli vengono contestate, indicando in via generica esigenze di ascolto delle necessità e delle aspettative della società civile che richiedevano ripetute consumazioni presso bar o ristoranti, giustificazioni generiche, tardive e autoreferenziali”. Spese che riguardavano articoli sportivi, ferramenta, utensili, alimentari, pranzi, cene, enoteche, abbigliamento, pelletteria, ricariche telefoniche, acquisto smartphone, biglietti del teatro, articoli per bambini e addirittura sostegni e adozioni a distanza…
Nelle 27 pagine della sentenza redatte dalla Corte dei Conti, sono messe in risalto le ripetute e lussuose cene dei consiglieri: “Da stigmatizzare la frequenza eccessiva di ricevute di numerosi pasti consumati presso ristoranti, anche d’eccellenza, presenti nella Regione Friuli Venezia Giulia e in genere nel territorio nazionale che rende inverosimile – sia per la numerosità, sia per la mancanza d’indicazione specifica dei partecipanti alle riunioni conviviali e della giustificazione – che si tratti, per tutte le circostanze, di incontri istituzionali. A ciò deve aggiungersi l’incongruo ripetersi di ricevute rilasciate sempre dagli stessi ristoranti, molto spesso collocati fuori dalla regione o addirittura interni a circoli velistici della provincia di Trieste”.
Insomma, le giustificazioni di Moretton non stanno in piedi. Ma questo era evidente. Rimane la novità della sentenza. Una condanna del “se sbagliano tutti paga soprattutto uno (il capogruppo regionale)” che potrebbe forse cambiare le cose. La verifica delle spese presentate per essere rimborsate è un obbligo. Chi mai vorrebbe pagare per tutti?