Dall’ibuprofene al nimesulide, gli antinfiammatori non steroidei causano scompenso cardiaco
La ricerca avrebbe evidenziato che a causare scompensi cardiaci sarebbero
Gli antinfiammatori non steroidei causano scompensi cardiaci. E’ questo il risultato di una ricerca condotta da un gruppo multidisciplinare e sovranazionale con il coordinamento di Giovanni Corrao, professore di Statistica medica dell’Università di Milano-Bicocca. Sotto accusa i principi attivi tradizionali come il naprossene e il nimesulide il cui consumo aumenterebbe il rischio di problemi cardiovascolari. L’articolo “Non-steroidal anti-inflammatory drugs and the risk of heart failure: a nested case-control study from four European countries in the SOS projects” è stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal (BMJ) e rivela un aumento dei rischi di problemi cardiovascolari e, di ricoveri ospedalieri correlati, del 19% nei pazienti che assumono abitualmente farmaci antinfiammatori non steroidei i cosiddetti FANS. Ovviamente tanto maggiore è il dosaggio tanto maggiore è il rischio di scompenso cardiaco. Entriamo nel merito della ricerca. Gli studiosi hanno analizzato 92.163 ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco in Italia, Germania, Regno Unito e Paesi Bassi e li hanno confrontati con 8.246.403 controlli rispetto all’uso di 27 FANS, di cui 23 tradizionali e 4 inibitori dell’enzima cicloossigenasi 2 (COX-2), noto anche come prostaglandina-endoperossido sintasi 2. Nello studio i ricercatori hanno anche valutato una possibile relazione tra dosaggio e risposta. I risultati ottenuti hanno confermato l’esistenza di un legame tra il rischio di ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco e dosaggio dei FANS. In particolare è stato riscontato un aumento del 19% del rischio di ricovero nei soggetti che avevano usato i farmaci antinfiammatori non steroidei da meno di due settimane rispetto a chi li avesse usati più di 183 giorni prima. Parlando in parole molto più semplici nel mirino ci sarebbero diclofenac, ibuprofene, indometacina, ketorolac, naprossene, nimesulide e piroxicam, inoltre due inibitori della COX-2, etoricoxib e rofecoxib. A quanto pare poi sarebbero proprio i principi attivi tradizionali a mostrare un legame diretto tra rischio di scompenso cardiaco e dosaggio. Al punto che il rischio è risultato addirittura raddoppiato nelle sperimentazioni condotte con i dosaggi maggiori.