La legge di Lidia Poët: finalmente una serie made in Italy in costume che non delude le aspettative
La legge di Lidia Poët è su Netflix: la recensione di UNF
Finalmente. Ci sono voluti anni ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Anche l’Italia ha una serie un costume che può fare scuola all’estero. Certo, dall’estero, ha tratto la principale ispirazione. La legge di Lidia Poët è una bellissima serie, fatta altrettanto bene, con un cast pazzesco. Una Matilda De Angelis strepitosa, tanto quanto Eduardo Scarpetta e Pierluigi Pasino. Un trio perfetto che regala al pubblico italiano quella serie in costume alla Bridgerton che ci aspettavamo. Se il legal trama è uno dei più abusati, La legge di Lidia Poët prende il meglio di quello che abbiamo già visto in passato. Se è vero che non spicca per originalità, parla ai giovani. E lo fa scegliendo di raccontare una storia vera, quella dell’avvocatessa Lidia Poët, ma usa linguaggi, modi e usi, che nulla potrebbero avere a che fare con il 1850. Va bene essere ostinata, decisa e vincente, ma pensare che la Poët scorrazzasse tra le strade di Torino, come la protagonista del film fa, usando modi e toni che abbiamo visto nella serie di Netflix, risulta essere un po’ difficile e complicato. Ma cgli sceneggiatori hanno capito a chi puntare. C’è un pubblico di riferimento, fatto di giovani spettatori e spettatrici, che cercano storie belle da cui imparare qualcosa, ma che parlino con un linguaggio che ha anche qualcosa da dire. In questo caso: femminismo, lotta per l’emancipazione, rivalsa, meritocrazia. Qualcosa che porta Lidia a diventare una vera e propria eroina. Se è vero che ormai di avvocate in Italia e nel mondo, siamo pieni, è altrettanto vero che esistono diverse posizioni lavorative appannaggio degli uomini. Dalla politica al mondo dell’imprenditoria, soprattutto in Italia, i posti occupati da donne, sono sempre troppo pochi. In questo senso quindi, Lidia Poët è quell’eroina che parla a chi come lei crede in un sogno, e crede di avere tutte le carte in tavola per realizzarlo. In questo Matilda de Angelis è stata perfetta: quello sguardo pieno di empatia trafigge lo spettatore e lascia il segno. Menzione anche per Dario Aita, tornato finalmente dopo l’insuccesso di Noi-La serie, con un ruolo perfetto.
La legge di Lidia Poët: la recensione
La serie Netflix si basa su una narrazione con trama orizzontale e verticale. Sei episodi con un caso da risolvere per la brava avvocatessa che è stata radiata dall’ordine dopo la sua laurea. E poi appunto, la trama centrale, che racconta la sua vicenda. Ostacolata dalla famiglia, sbeffeggiata dai colleghi e da chi avrebbe dovuto accoglierla nel mondo dell’avvocatura, la Poët non si è mai arresa e ha sempre cercato di lottare per quello in cui credeva: poter essere brava tanto quanto un uomo.
La serie Netflix racconta appunto la vera storia di Lidia Poët. Nata nel 1855, voleva fare l’avvocata, e ci riuscì: fu la prima italiana iscritta all’albo. Ma, ben presto, venne radiata dall’Ordine, non perché poco professionale, ma perché donna. «Sarebbe disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra», era scritto nella sentenza della Corte d’Appello di Torino del 1883, «esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare». Inizia proprio così il primo episodio della serie. E se anche quelle parole sanno di stantio, in realtà sono vecchie nello stile, moderne nei contenuti. Sembra di assistere a quei colloqui durante i quali le donne si sentono chiedere se vogliono avere figli, se sono sposare, se hanno prole a cui badare, se saranno disponibili come un uomo potrebbe essere, se si vestiranno nel modo adeguato come richiederebbe il protocollo. Insomma in Lidia Poët c’è un pezzettino di ogni donna che inizia il suo percorso di autonomia ed emancipazione. Difficile quindi che possa non piacere a una platea di giovanissime e meno giovani, a caccia di una nuova eroina fonte di ispirazione.