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Ecuador: accordo segreto con la Cina per estrarre petrolio nella Foresta Amazzonica

Un accordo segreto tra la Cina e l'Ecuador potrebbe distruggere una delle poche zone incontaminate del nostro pianeta. Ceduta una parte della foresta amazzonica per estrarre il petrolio

Quello tra Ecuador e Cina è un accordo segreto, sancito all’insaputa di tutti. A rivelarlo è stato il Guardian. Il quotidiano inglese è riuscito ad entrare in possesso di documenti top secret ed ha denunciato sulle sue pagine lo scempio ambientale che potrebbe distruggere la biodiversità di uno degli ultimi luoghi incontaminati del nostro pianeta.

All’insaputa di tutti, soprattutto di quelle popolazioni indigene che volontariamente hanno deciso di isolarsi e di vivere immersi nella natura, una natura per ora incontaminata e protetta, la China Development Bank e il governo dell’Ecuador hanno stretto l’accordo. Il Paese asiatico vorrebbe intervenire nel parco di Yasuni, un’area situata all’estremità orientale dell’Ecuador, a 250 chilometri dalla capitale Quito, che si estende per poco meno di 1o.ooo kmq nella foresta pluviale in Amazzonia. Lo Yasuni, per capirci, nel 1989 è stato nominato dall’Unesco riserva della biosfera. Qui, oltre a innumerevoli specie di piante e animali vivono due tribù che per scelta hanno rifiutato ogni contatto con la società “civile”: i Tagaeri e i Taromeane. Ora, l’accordo stipulato segretamente potrebbe distruggere per sempre le loro vite, e non solo.

L’accordo – La China Development Bank ha sancito un investimento iniziale di almeno un miliardo di dollari che andranno a finire direttamente al ministero delle finanze del governo ecuadoriano. Il Guardian ha rivelato che di fatto l’Ecuador stava da tempo attendendo l’acquirente giusto per investire sull’area. Sulle pagine del quotidiano inglese si può leggere la denuncia di Atossa Soltani, membra dell’ong Amazon Watch e precedentemente ambasciatrice della cosiddetta iniziativa Yasuni: “Mentre cercava i donatori, il governo stava già cercando di vendere il petrolio alla Cina”. Correa, ministro delle politiche economiche ecuadoriano avrebbe di fatto sancito un accordo preliminare, avvenuto tra il 13 e il 23 maggio 2009. In una nota, si legge inoltre che “la parte ecuadoriana farà quanto nelle sue possibilità per aiutare PetroChina e Andes Petroleum a esplorare la zona ITT e il Blocco 31″. La prima è una società quotata controllata dalla CNPC, la compagnia petrolifera statale. La seconda, invece, è una joint venture tra la stessa CNPC e un’altra società statale cinese.

Lo sconcerto degli ambientalisti – “Aiutare economicamente le nazioni più povere a resistere alla tentazione dello sfruttamento del carburante fossile poteva fornire una nuova strada da percorrere nella lotta ai cambiamenti climatici – scrive la giornalista del Fatto Cecilia Attanasio Ghezzi -, un sondaggio dimostra come una fetta tra il 78 e il 90 per cento degli ecuadoriani sono contrari al trivellamento nella regione e gli attivisti si sono già attivati per raccogliere 600.000 firme entro il 12 aprile per promuovere un referendum che blocchi le trivellatrici”.

Un Paese già svenduto – Il direttore generale di PetroEcuador Marco Calvopiña, tempo fa, firmò a Pechino un accordo per cedere a PetroChina 500.000 dei 520.000 barili al giorno di petrolio estratti in Ecuador. Insomma, il petrolio sembra essere essenziale per mandare avanti il Paese. Ma a che prezzo?



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