Economia

Caso Electrolux: cosa significa fare impresa in Italia e all’estero

Il caso Electrolux ha riacceso il dibattito sulle difficoltà di fare impresa in Italia: ecco una panoramica che mette a raffronto la nostra imprenditoria nazionale con quella di altri paesi europei

Fare impresa in Italia presenta costi di produzione alti che frenano la produttività: il caso Electrolux ci spinge a riflettere sulla situazione economica del nostro Paese.

E’ vero che a Berlino l’occupazione ha molta flessibilità in uscita ma in Germania gli stipendi medi sono molto alti quindi ci si può permettere il “lusso” di vivere un mese da disoccupati; negli Stati Uniti le imprese riescono a risparmiare sulle spese energetiche abbattendo i costi in bolletta grazie agli investimenti sulle energie alternative. Nel nostro paese i peggiori nemici dell’imprenditoria sono burocrazia e tassazione. Fino agli anni Novanta potevamo fare giocoforza sulla qualità del made in Italy: oggi le esigenze di mercato sono cambiate e i paesi in via di sviluppo offrono una concorrenza spietata che abbatte i costi delle materie prime e della forza lavoro. Anche i consumatori italiani per risparmiare hanno iniziato a comprare elettrodomestici made in China e così le aziende nazionali hanno dovuto tagliare posti di lavoro. Siamo entrati in una spirale di cui siamo al tempo stesso vittime e carnefici e che ha coinvolto tanti settori del mercato, dall’abbigliamento ai giochi passando per il cibo.

Il caso Electrolux non è che l’ultimo esempio dal punto di vista cronologico di questo trend. Non è un caso e non stupisce che l’Italia, nell’ultima classifica mondiale della competitività (divulgata nell’autunno 2013) sia scesa di ben sette gradini rispetto all’anno precedente. L’Italia è ferma e anzi indietreggia lentamente e inesorabilmente mentre ad esempio l’Irlanda, prossima al fallimento nel 2008, ha saputo riemergere dalle sue ceneri portando la produttività ad un più 12% in cinque anni.

Il piano di lavoro del caso Electrolux punta ad abbassare il costo del lavoro, con grande sacrificio degli operai, puntando però ad una prospettiva di crescita della produttività anche utilizzando al meglio gli ammortizzatori. Secondo il capo degli industriali friulani Giuseppe Bono questa “rivoluzione culturale” è necessaria per “recuperare forse metà delle imprese che hanno chiuso i battenti”



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