Riina-Lorusso: messaggi di morte e nuove piste sulla “trattativa”
Riina dal carcere lancia un messaggio: "Nino Di Matteo deve morire". Si aprono inoltre nuove piste sui mandanti delle stragi di Capaci e via D'Amelio e sulla trattativa Stato-mafia
Si riapre un triste capitolo. “Forse Riina è stufo di pagare per tutti e sta lanciando messaggi” sostiene Ingroia, ieri ospite a Linea Gialla. Quella che sembrerebbe una nuova formula di comunicazione, ovvero, sapere di essere intercettato e far passare quindi il messaggio tramite la stampa, ha ridestato gli inquirenti (mai rassegnatisi) su diverse tematiche scottanti: dalla trattativa Stato-mafia, al commissionato omicidio del pm Di Matteo.
Già da ieri il sito di Repubblica ha diffuso parte del video delle intercettazioni, in cui, il Boss dei boss Totò Riina interloquisce con l’amico e compagno Alberto Lorusso. Cosa Nostra sembra voler tornare ad agire, e in maniera eclatante. Quello che più preoccupa è l’annunciata “condanna a morte” del pm di Palermo Nino Di Matteo che assieme a Roberto Tartaglia e Francesco del bene, si occupa dell’indagine sulla trattativa Stato-mafia.
“Vedi – dice Riina a Lorusso – si mette là davanti, il presidente (Nino Di Matteo ndr.), si mette là davanti si presenta per… tutto… guarda così, guarda, mi guarda con gli occhi puntati così… e io pure… a me non mi intimorisce, a me, paura?”. “È lui che è intimorito – replica Lorusso – con la cacarella, e ci fanno tutte queste cose, queste strumentalizzazioni, questo è questo, questo è, ma secondo me questi vogliono anche mantenere viva la lotta alla mafia… sempre viva la situazione… e allora ci bombardano di queste notizie, di questi pericoli, di ‘ste cose”. Poi, arriva, come un macigno, la condanna a morte del boss di Corleone nei confronti del pm: “Ed allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa… e non ne parliamo più”. Alberto Lorusso annuisce e Riina continua: “Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare… gli hanno rinforzato la scorta, e allora se fosse possibile… ad ucciderlo… un’esecuzione… come eravamo a quel tempo a Palermo partivamo la mattina da Palermo a Mazara, c’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo. Ecco perché incominciamo da Di Matteo, perché in questi giorni Di Matteo, Di Matteo perché Di Matteo tutte, tutte, tutte le cosa le impupa lui. Perché… perché lui pensa ma se questo è Riina ma questo è così freddoso, così terrificante, ma così malvagio… questo, ci macina a tutti e ci mette a tutti sotto i piedi, a tutti… minchia”. Lorusso continua il suo silenzi assenzio e il capo di Cosa Nostra continua: “Le insegno un segreto siciliano: ‘chi il dito bene si attaccò lo ha sempre sano’. Quindi, quindi, voialtri avete sbattuto la testa quando eravate bambini, perciò che volete da me. A me mi hanno condannato, però mi hanno condannato così. Veramente la vita è una ruota, no? Perché si può essere poveri e si può diventare benestanti, e potere stare bene, io ho iniziato da zero e mi sono trovato poi sollevato”.
Ma dalle intercettazioni, si evince un’ulteriore drammatica consapevolezza: Riina è ora, dopo la morte di Totò Concemi (boss di Porta Nuova deceduto due anni fa), l’unico depositario di un segreto fittissimo. Quello delle stragi.
“Loro pensavano che io ero un analfabeticchio – spiega Riina a Lorusso durante un’intercettazione datata 6 agosto 2013, riferendosi alla bomba del 23 maggio 1992 –, così la cosa è stata dolorante, veramente fu tremenda, quanto non se lo immaginavano. Abbiamo cominciato a sorvegliare, andare e venire da lì, dall’aeroporto… siamo andati a Roma, non ci andava nessuno, non è a Palermo… fammi sapere quando può arrivare in questi giorni qua. Andammo a tentoni, fammi sapere quando prende l’aereo”. Da parte di chi i mafiosi avrebbero dovuto sapere dell’arrivo di Giovanni Falcone a Palermo?
“Cinquantasette giorni dopo – conferisce Riina, riferendosi ora alla strage in via D’Amelio –, minchia, la notizia l’hanno trovata là dentro… l’hanno sentita dire… domenica deve andare da sua madre, deve venire da sua madre… gli ho detto… ah sì, allora preparati, aspettiamolo lì”. Ancora una volta la domanda sorge spontanea: chi aveva informato Riina dei movimenti del giudice Borsellino? Il boss – spiega Giorgio Bongiovanni di Antimafia Duemila – aveva fatto riferimento a “quello della luce… anche perché … sistemati, devono essere tutte le cose pronte, tutte, tutte, logicamente si sono fatti trovare pronti. Gli ho detto: ‘Se serve mettigli qualche cento chili in più…'”.
Il mistero dell’agenda di Borsellino – “Si fottono l’agenda, si fottono l’agenda” ha affermato Riina a Lorusso. Ma chi se l’è “fottuta”? Altro mistero… Poi, ecco un nuovo attacco al pm: “Questo Di Matteo, questo disonorato, questo prende pure il presidente della Repubblica… Questo prende un gioco sporco che gli costerà caro, perché sta facendo carriera su questo processo di trattativa… Se gli va male questo processo lui viene emarginato. Io penso che lui la pagherà pure… lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel’hanno fatta finire a quello palermitano, a quello… Scaglione (procuratore di Palermo assassinato dalla mafia nel 1971 ndr.), a questo gli finisce lo stesso. Io sono stato un nemico pericoloso, non ne avranno mai… non gliene capiteranno più. Gliene è capitato uno e gli è bastato e se ne debbono ricordare sempre. Io ve l’ho detto tannu… io ve l’ho detto ieri, ve l’ho detto ieri… deve succedere un manicomio, deve succedere per forza, perché vedete deve succedere per forza!”. “Intanto – conclude il capo di Cosa Nostra –, intanto io ho fatto il mio dovere, ma continuate continuate, qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno… divertitevi… (in sostanza “commettete azioni delittuose” ndr.) una scopettatona (fucilata ndr.) nella testa di questi cornuti”.
Altre intercettazioni, quelle del racconto che Riina fa a Lorusso sull’incontro avuto con il boss di Porta Nuova Totò Concemi, riportano in auge invece il nome di Silvio Berlusconi. Perché Concemi era affiliato con Mangano, storico stalliere del Cavaliere. Vogliamo ricordare che proprio Concemi, consegnatosi spontaneamente ai carabinieri del Ros il 23 luglio del 1993, è il primo a raccontare che Riina “fu portato per la manina” e che “si è incontrato con persone importanti”. I nomi di quelle persone saltano fuori solo nel 1998: sono Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (prosciolti nel 2002 dall’accusa di essere i mandanti delle stragi, è bene ricordarlo). Il pentito Concemi era stato mandato ad Arcore da Riina per parlare con Mangano e per dirgli di farsi da parte. Il boss corleonese in sostanza voleva gestire direttamente i rapporti con il Cavaliere e con Dell’Utri.
Il 20 settembre, Riina esterna a Lorusso il suo parere sui problemi giudiziari di Berlusconi: “Se lo merita, se lo merita. Gli direi io ‘perché ti sei andato a prendere lo stalliere? Perché te lo sei messo dentro?” Già, perché? Poi, il capo di Cosa Nostra si sbilancia: “Noi su Berlusconi abbiamo un diritto: sapete quando? Quando siamo fuori lo ammazziamo…” Poi ritratta: “Non lo ammazziamo però perché noi stessi non abbiamo il coraggio di prenderci il diritto”.
Che dire, grazie a queste intercettazioni si apriranno nuove piste sull’indagine e sui misteri che avvolgono le stragi e la trattativa. Ma le esternazioni del boss corleonese sono alquanto strane. Davvero è stato mandato un messaggio? La mafia non ha mai agito in questo modo. Nessun boss ha mai annunciato una strage o un assassinio.