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Il Job Act piace a Bruxelles, ma resta l’enigma delle risorse

Le misure sul lavoro presentate da Matteo Renzi piacciono all'Europa e trovano l'apertura dei sindacati e di altri partiti. Si tratta di un piano molto ambizioso, che potrebbe rivoluzionare il mercato del lavoro, ma l'enigma restano le risorse.

Un primo obiettivo del suo nuovo incarico di segretario del Pd Matteo Renzi sembra averlo già raggiunto, mettendo al centro del dibattito pubblico in maniera forte il tema del lavoro. Il Job act, di cui è stata diffusa una bozza e che sarà presentato in maniera ufficiale il 16 gennaio, ha già scatenato le reazioni di tutto il mondo politico e sindacale. Ma le parole più importanti di sostegno alla proposta di Renzi sono arrivate direttamente dall’Europa,  attraverso le parole del Commissario europeo al lavoro Laszlo Andor: “Sembra andare nella direzione giusta” ha affermato oggi il rappresentante di Bruxelles. Scettico il ministro del Lavoro Giovannini, che non ci sta a farsi scavalcare sulle tematiche di sua competenza dal segretario del Pd e ci tiene a sottolineare che si tratta di “proposte che richiedono forti investimenti”. Colpisce anche l’apertura del segretario della Cgil Camusso, a lungo su posizioni opposte a quelle di Renzi: “”Che si dica esplicitamente che bisogna ridurre le forme del lavoro è una novità assolutamente inaspettata: fino ad oggi lo dicevamo solo noi”. Favorevole Bonanni della Cisl, mentre Grillo ha glissato le domande dei giornalisti sulle proposte di Renzi, producendosi in una gag. Per i 5 stelle ha risposto la Taverna: ‘Meglio il reddito di cittadinanza’. Aperture anche dal partito di Berlusconi: per Forza Italia si è espressa la Repetti: “Bene il piano Lavoro di Renzi, uniformarsi a Ue”, mentre critico è stato l’ex presidente del Senato Schifani: “Sembra il libro degli intenti”.

Ma in cosa consiste nel dettaglio il piano sul lavoro presentato da Matteo Renzi?

Tutto ruota intorno all’idea della semplificazione di tutte le regole attualmente esistenti in materia di lavoro e sulla necessità che sia ben comprensibile anche all’estero. Nelle intenzioni del suo promotore, si tratta di uno strumento per aiutare l’Italia a ripartire.

Uno dei punti di partenza è la riduzione delle varie forme contrattuali, che attualmente sono più di 40 in Italia.

L’eliminazione della figura del dirigente a tempo indeterminato nel settore pubblico è un altro punto importante che mira all’abbattimento dello strapotere delle burocrazie ministeriali e a ripristinare un principio semplice di meritocrazia, così come avviene per i dipendenti pubblici che ottengono il loro posto in seguito al superamento di un concorso.

Per quanto riguarda l’articolo 18, Renzi non è stato esplicito ma ha parlato di “un processo verso un contratto di inserimento a tempo indeterminato a tutele crescenti”, senza specificarne le modalità di attuazione in questa bozza.

In caso di perdita del posto di lavoro, il job act prevede “un assegno universale, anche per chi oggi non ne avrebbe diritto, con l’obbligo di seguire un corso di formazione professionale e di non rifiutare più di una nuova proposta di lavoro”.

Una proposta che va nella direzione auspicata dai sindacati, e in particolare dal leader della Fiom Maurizio Landini, mira all’imitazione del modello tedesco, consistente in una legge sulla rappresentatività sindacale e presenza dei rappresentanti eletti direttamente dai lavoratori nei Cda delle grandi aziende.

Altro tema presentato riguarda l’organizzazione dei centri per l’impiego, che dipenderebbero da un’Agenzia unica federale col compito di coordinare il loro funzionamento, la formazione e l’erogazione degli ammortizzatori sociali.

Per quanto riguarda i sostegni alle aziende, Renzi propone di ridurre del 10% l’onere per le aziende in merito ai costi dell’energia, soprattutto per le piccole imprese, quelle più in difficoltà. L’idea ulteriore è di tagliare le tasse per le aziende che producono lavoro, e di aumentarle per quelle che si muovono in ambito finanziario, consentendo una riduzione del 10% dell’Irap.

Altra proposta riguarda l’introduzione di criteri di valutazione meritocratici delle agenzie di formazione, con la minaccia di cancellarle dagli elenchi se non rispettano determinati standard; l’obbligo per le imprese di pubblicare online ogni spesa “per la formazione professionale finanziata da denaro pubblico”.

Eliminazione dell’obbligo di iscrizione alle Camere di Commercio, che per Renzi potrà essere “un segnale contro ogni corporazione, consentendo anche un piccolo risparmio per le aziende”.

Un altro punto importante riguarda l’obbligo di trasparenza per amministrazioni pubbliche, partiti, sindacati, che avranno il dovere di pubblicare online ogni entrata e ogni uscita, in modo chiaro, preciso e circostanziato.

In alcuni settori specifici, che potranno essere trainanti per l’economia italiana, Renzi ha proposto la stesura di specifici piani industriali (Cultura, Turismo, Agricoltura e cibo, Made in italy, Ict, Green Economy, Nuovo welfare, Edilizia) “con indicazione delle singole azioni operative e concrete necessarie a creare posti di lavoro”.

Infine la proposta di una semplificazione amministrativa e burocratica sulle procedure di spesa pubblica.

Difficile non essere d’accordo con molte di queste proposte, ma ora sarà necessario capire nel dettaglio dove si andranno a trovare le risorse per un piano così ambizioso che potrebbe rivoluzionare il mercato del lavoro.



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