Pizza e camorra a Roma, ma non solo
Dietro la catena di ristorazione Pizza Ciro, si nascondeva la camorra per riciclare il denaro sporco. Un fenomeno che non riguarda, purtroppo, solo Roma
Roma – Riciclare i soldi dei boss e passare per anni impuniti. I fratelli Righi, affiliati al clan Contini, ci sono riusciti. Il loro marchio, Pizza Ciro, era divenuto nel giro di venti anni sinonimo della pizza napoletana a Roma e nessuno (forse) sospettava che quella catena di ristorazione, fosse in realtà una pedina fondamentale per gli scopi della camorra.
Dopo anni di silenzi, finalmente, un’inchiesta congiunta e coordinata dalla direzione antimafia ha posto fine al silenzioso malaffare. I prestanome Righi erano oramai i padroni del centro di Roma, basti pensare ai numeri dell’operazione: sono scattati 90 arresti, 250 milioni di euro di beni sequestrati e 28 sono i locali posti sotto sigillo. Le pizzerie sequestrate avevano sede nel pieno centro di Roma ed erano frequentatissime dalle alte sfere della politica italiana che, secondo l’accusa, ignari, hanno gustato la pizza che usciva dal forno del riciclaggio della camorra.
L’ascesa – I Righi, in particolare Luigi e Salvatore, già negli anni ottanta furono coinvolti nel rapimento del gioielliere Luigi Presta e condannati per riciclaggio. Poi, scontata la pena, sono riusciti a passare da una piccola friggitoria alla conquista (non solo ristorativa) del centro della capitale. Nel 1999, i carabinieri (in borghese) entrarono in uno dei locali Pizza Ciro e fu proprio Salvatore Righi ad accoglierli e a consegnargli un biglietto con su scritto tutti gli esercizi e i numeri di telefono dei figli di Alfredo Mariotti. Lo stesso Mariotti che, a detta degli inquirenti, è colui che aperto le porte di Roma ai Righi. Di tal Mariotti, parla anche il pentito Pasquale Galasso: “Era l’ombra di Giuseppe Cillari”, un camorrista contrapposto alla nuova criminalità organizzata di Raffaele Cutolo. Poi, arrivano i Contini a prendersi cura dei Righi, ma non solo. Gli inquirenti sostengono che i Righi non “avevano esclusive” per i committenti. Di fatti, legati all’inchiesta, sono anche le famiglie Mazzarella e Amato-Pagano. Tuttavia, era il clan Contini ad avvalersi maggiormente della copertura.
I Contini – “Un’organizzazione potente guidata dal boss Eduardo Contini ‘ò romano’, ossessionato dall’eleganza ma anche da una gestione diplomatica degli affari” scrive Roberto Saviano. “Interessato a un narcotraffico che non inficiasse troppo il territorio, è sopravvissuto a tutte le faide di camorra – spiega – ed era entrato nella dirigenza del cartello di Secondigliano per via matrimoniale. Le sorelle Aieta sposarono tre camorristi che divennero poi dirigenti dei cartelli dell’area Nord. Maria sposò Contini, Rita sposò Patrizio Bosti e Anna sposò Francesco Mallardo. Tre capi storici. Tre uomini di camorra interessati a Roma”.
Capitolo Giannini – Il figlio di Salvatore Righi, Ivano, era fidanzato alla figlia del “Principe” Giuseppe Giannini, ex nazionale di calcio e storico capitano della Roma. L’ex calciatore, oggi allenatore del Libano, è ora indagato per frode sportiva con l’aggravante della finalità mafiosa. Dobbiamo tornare alla stagione calcistica 2008-2009, quando Giannini era l’allenatore del Gallipoli. In concorso con Righi ed altri soggetti, il “Principe” avrebbe indotto alcuni calciatori della squadra avversaria (Real Marcianese) a perdere la gara e consentire l’accesso in serie B del suo team. Detto, fatto.
Il caso – Durante l’operazione l’indagato Giuseppe Cristarelli si è ucciso mentre gli veniva notificato l’ordine d’arresto. Suicidio sul quale la procura ha aperto un’inchiesta.
Non solo Roma – “Roma non è un punto d’arrivo – scrive Roberto Saviano per Repubblica -, i recenti sequestri hanno interessato anche Viareggio, dove i clan avevano messo le mani su uno dei luoghi più noti della città, l’ex bar-pasticceria ‘Fappani’, e poi a Pisa, su ‘L’arciere’ e ‘l’Antico Vicoletto’. E poi ancora sul ristorante ‘Salustri’ di San Giuliano Terme e ‘L’imbarcadero’ di Marina di Pisa. E poi nelle Marche, a Gabicce Mare, il caffè ‘Vittoria’. Tutti questi – spiega Saviano – sono locali considerati dalle Dda di Roma e di Napoli, coordinate dalla Dna, ‘lavanderie’ della camorra, frutto del riciclaggio. Ricchezza che proviene dalla cocaina, dall’hashish, dalle estorsioni, dalla contraffazione di capi d’abbigliamento griffati”.
L’allarme lanciato da Saviano – “I clan approfittano della crisi che costringe gli imprenditori a cedere il passo. E investono. Ma attenzione -avverte – qui non è semplice riciclaggio, è un vero sistema che assiste l’economia legale. Nascono catene di franchising dove i camerieri lavorano non conoscendo il loro vero padrone. La clientela mangia felice (spesso anche bene) ignara di quale business sta alimentando”.