Quanto ci costa la cattiva alimentazione? La risposta degli psicologi a Expo 2015
Il grido d’allarme degli specialisti riuniti nel XIV Congresso Europeo di Psicologia all’Expo di Milano: ecco i costi della cattiva alimentazione
“In Italia la cattiva alimentazione ci costa quaranta miliardi di euro all’anno”. Sono dati allarmanti quelli che emergono nella prima giornata del XIV Congresso Europeo di Psicologia che si è appena concluso all’Expo di Milano, dove i maggiori esperti mondiali di psicologia si sono dati appuntamento per discutere del rapporto tra cibo e mente. “Il contributo della psicologia per nutrire la mente, energia per la vita”, questo il titolo dell’evento in cui si sono confrontati stamattina, a Expo, specialisti di fama mondiale del calibro di Saths Cooper, già presidente internazione dell’Union Psychological Science, Philip Zimbardo, professore di psicologia dell’Università di Standford, José Maria Peiró, docente dell’Università di Valencia, Robert Roe, dell’Università di Amsterdam e Rainer Silbereisen, professore dell’Università di Jena in Germania. Gli psicologi concordano che non si può parlare di cibo senza individuare le connessioni con la mente, in considerazione dei continui cambiamenti imposti dalla società. Parla a nome degli psicologi, il presidente del Congresso Mario Sellini: “L’alimentazione è diventata un problema di carattere mondiale. Come hanno illustrato insigni specialisti, la nutrizione e la buona alimentazione fanno parte della dignità delle persone. Per garantire questa necessità, c’è bisogno di uno sforzo economico, politico e sociale. Ci siamo chiesti: ma allora cosa può fare la psicologia? Siamo tutti d’accordo che la psicologia è in grado di offrire un valido contributo e che quindi deve aiutare ed indirizzare le persona al cambiamento degli stili di vita imposti dai mutamenti continui e sempre più veloci dalla società in cui viviamo. Per questa ragione, la psicologia assume un ruolo fondamentale. Ci siamo ancora chiesti: ma perché lo deve fare la psicologia e non una legge? Perché siamo fermamente convinti che le leggi non bastano. Non si potrà mai, infatti, vietare con una norma di mangiare questo o quel cibo. Invece –spiega lo psicologo Mario Sellini- riteniamo che è necessario l’orientamento di un professionista che sia in grado di guidare questi processi di educazione alimentare. Conveniamo tutti sul punto che è necessario porre rimedio nei primi anni della crescita degli individui e comunque non dopo i dieci anni di età. Successivamente, sarebbe difficile se non impossibile correggere le cattive abitudini. La psicologia favorisce questo processo, rendendolo più naturale dal momento che per l’essere umano ad ogni cambiamento contrappone una resistenza. Tendenzialmente le persone non sono portare a modificare le proprie abitudini. Un obeso di 18 anni in poi aumenta la spesa sanitaria di circa mille all’anno, rispetto ad una persona che non presenta questa patologia. È noto che la buona alimentazione riduce la possibilità di incorrere in malattie come quelle cardiovascolari, l’anoressia e la bulimia. Quindi se il cibo e la mente trovano un equilibrio, sicuramente i benefici saranno immediati”.
Qualche dato
A livello globale sono circa 1,5 miliardi le persone adulte sovrappeso e di queste 200 milioni di uomini e circa 300 milioni di donne sono obese (OMS). Si tratta di valori raddoppiati rispetto al 1980 e le proiezioni stimano che entro il 2015 circa 2,5 miliardi di adulti saranno sovrappeso e 700 milioni obesi.
Questo fenomeno ha degli impatti significativi sulla collettività dal punto di vista dei costi legati al trattamento della malattia e delle sue complicanze (assistenza medica personale, assistenza ospedaliera, servizi sanitari e farmaci). I costi diretti legati all’obesità rappresentano una quota compresa tra il 2 e l’8% dei costi sanitari totali a livello mondiale (OMS); la spesa sanitaria sostenuta da un obeso è in media il 25% più alta di quella di un soggetto normopeso (Withrow e Alter, 2010). Un’altra quota importante di costi, definiti indiretti, è legata alla perdita di produttività.
Secondo lo studio più ampio mai svolto dalla commissione europea Idefics (Identification and prevention of Dietary- and lifestyle-induced health EFfects In Children and infantS; Identificazione e prevenzione di effetti dietetici e stile di via indotti in giovani e bambini ) su 16mila bambini per due anni, l’Italia registra il primato di sovrappeso e degli obesi nella fascia d’età tra i 6 e i 9 anni. E nel Belpaese l’aumento dell’obesità infantile segna un +2,5% ogni 5 anni.
Le abitudini alimentari vanno avvicinandosi a quelle del Nord Europa, ma la stessa cosa non avviene per l’attitudine sportiva dei ragazzi. La notizia peggiora se sommata agli articoli di Lancet che denunciano un quoziente d’intelligenza più basso e una probabilità di depressione più alta per i bambini ciccioni. Fin qui l’obesità. Se allarghiamo il raggio a bambini e adulti in sovrappeso le cifre lievitano: già al congresso europeo sull’obesità di Ginevra del 2008 in Italia il sovrappeso riguardava il 42,4% dei maschi e il 26,6% delle femmine.