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Per diventare più buoni basta una pillola miracolosa

Essere buoni o cattivi dipende dal carattere ma questo aspetto della personalità si può migliorare con una pillola miracolosa: ecco come funziona

Anche le persone tendenzialmente meno empatiche o compassionevoli possono diventare più buone senza fare troppi sforzi. Ma come è possibile? Cosa rispondereste se vi dicessimo che basta una pillola miracolosa? All’Università di San Francisco e Berkeley hanno sperimentato un farmaco ribattezzato la “pillola della bontà“. Si tratta scientificamente di una medicina a base di tolcapone, una sostanza in grado di prolungare gli effetti della dopamina intervenendo sull’equilibrio neurochimico nella corteccia prefrontale del cervello, che è responsabile appunto dello sviluppo del carattere, del comportamento e della tendenza a prendere determinate decisioni piuttosto che altre.

CHI E’ ALTRUISTA VIVE PIU’ A LUNGO: LO STUDIO

Insomma è in questa area cerebrale che si concentra la bontà o al contrario la cattiveria di una persona. Ma nessuno di noi, almeno secondo questo afferma questo studio, è destinato a restare per sempre vittima della sua indole cattiva. I test per dimostrare l’efficacia del farmaco hanno coinvolto 35 persone: 18 donne e 17 uomini. I soggetti volontari sono stati suddivisi in due gruppi: al primo è stato somministrato un placebo, all’altro il tolcapone appunto. Infine a tutti quanti i partecipanti è stato chiesto di prendere parte ad un gioco che prevedeva la distribuzione di denaro a favore di un soggetto destinatario rimasto anonimo. Il secondo gruppo, che aveva assunto la sostanza alla base del farmaco, si è dimostrato più equo nella condivisione dei soldi con gli sconosciuti. La pillola della bontà, secondo i progetti dei suoi ideatori, potrebbe trovare applicazione anche nella cura di malattie mentali contraddistinte da un forte impatto sociale, come ad esempio la schizofrenia o le diverse tipologie di dipendenze (da droga, alcol, gioco d’azzardo etc). Per la prima volta una caratteristica associata strettamente alla personalità, come l’empatia appunto, viene considerata come un parametro che può essere “sistematicamente influenzato prendendo di mira alcune specifiche vie neurochimiche nel cervello umano”, come ha sottolineato anche Ming Hsu, una delle autrici della ricerca.



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